La pratica della non violenza come strumento politico fu adottata sistematicamente e resa popolare presso l'opinione pubblica mondiale da Mohandas Karamchand Gandhi e dai suoi seguaci nella lotta per l'indipendenza dell'India, negli anni fra le due guerre mondiali. Secondo la strategia gandhiana, gli indiani dovevano rispondere alla violenza della dominazione inglese non con la forza delle armi (secondo il modello delle rivoluzioni europee, da quella francese a quella russa), ma con la resistenza passiva, col digiuno volontario, col rifiuto di obbedire alle leggi ingiuste, con lo sfruttamento dei margini legali consentiti dalle leggi esistenti, con la non collaborazione coi dominatori e con il boicottaggio dei prodotti dell'industria europea: una scelta, quest'ultima che significava anche difendere le strutture tradizionali della società e dell'economia locale, basata sull'agricoltura e l'artigianato. Del resto la pratica non violenta, se da un lato riprendeva spunti già presenti nel pensiero occidentale (il pacifismo dell'ultimo Tolstoj o la «disobbedienza civile» teorizzata a metà dell'800 dal filosofo statunitense Henry David Thoreau), si collegava, nel pensiero di Gandhi, alla cultura e alla spiritualità induista, tutta volta alla trasformazione interiore dell'uomo, premessa necessaria per qualunque trasformazione politica. Tutto questo non significava dunque rassegnarsi all'ingiustizia, ma combatterla adottando una strategia nuova e particolarmente rischiosa, in quanto non escludeva la risposta violenta degli avversari. Questa strategia fece proseliti in tutto il mondo, in contesti molto diversi fra loro, Il movimento per i diritti civili dei neri negli Stati Uniti, guidato dal pastore Martin Luther King, la fece propria e la applicò con coerenza negli anni '60 del '900. In Italia il maggior teorico della non violenza fu il filosofo Aldo Capitini, autore già nel 1937, in pieno ventennio fascista, di un libro (Elementi di una esperienza religiosa) in cui cercava di dimostrare come il ricorso alla forza, anche per i più nobili scopi, aprisse sempre la strada all'ingiustizia, e come fosse necessario, per sperare in una società migliore, spezzare il circolo vizioso adottando la non violenza come un fine in sé.
Nell'Italia repubblicana, furono soprattutto i movimenti pacifisti e antimilitaristi, sia cattolici sia laici (a partire soprattutto dagli anni '60 e ancora in tempi recenti), a far propria la lezione gandhiana nella lotta contro gli armamenti nucleari o in quella a favore dell'obiezione di coscienza. Ma sono stati soprattutto i radicali di Marco Pannella a servirsi delle strategie non violente (dal digiuno alla disobbedienza civile) per condurre le loro battaglie sui temi più svariati; dall'aborto alla pena di morte, dall'informazione alla condizione carceraria.
definizione dal
Manuale di Storia Contemporanea: Il Novecento (G. Sabbatucci - V. Vidotto)

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